giovedì 19 settembre 2013

La bastarda di Istanbul

Ho letto questo libro nell'ultimo weekend, incuriosito sia dal giudizio lusinghiero riportato in copertina (il premio Nobel Orhan Pamuk sostiene che l'autrice del romanzo, Elif Shafak, sia la "migliore scrittrice turca dell'ultimo decennio) sia dal tema affrontato: la questione armena, il genocidio compiuto all'inizio del secolo scorso nell'impero ottomano, che la Turchia continua a negare, tanto che anche Elif Shafak subì un processo per offesa all'identità del Paese per essersene occupata, ottenendo comunque l'assoluzione.
Considerando i giudizi lusinghieri e i numerosi premi e riconoscimenti ottenuti dalla scrittrice, sono rimasto molto deluso dalla lettura del libro.

La storia si apre con una ragazza diciannovenne, Zeliha, che in minigonna, tacchi a spillo e camicetta attillata "per sottolineare il seno abbondante", incurante del temporale estivo attraversa Istanbul per andare ad abortire. Non senza aver fatto prima una sosta al Gran Bazar, dove acquista un servizio da tè. E senza ovviamente risparmiarsi occhiate libidinose da parte dei suoi concittadini allupati e un tentativo di abbordaggio in stile "B movie" da parte di un tassista tratteggiato alla grossa attenendosi senza alcuna fantasia allo stereotipo del molestatore tanto volgare quanto innocuo.
L'aborto non avviene grazie anche a una provvidenziale preghiera del muezzin che irrompe da una moschea vicina. La ragazza rientra a casa e, dopo essersi saziata con vari e abbondanti intingoli, decide di gettare la sassata contro nonna, mamma e tre sorelle, rivelando tutto insieme: verginità perduta, gravidanza in corso e progettato aborto, presentandosi subito come la componente ribelle e disinibita del gineceo in cui vive.



A questo punto la scena si sposta in un supermercato americano, dove una giovane donna lotta contro il suo istinto a compensare le delusioni del matrimonio fallito, dell'abbandono dell'università e di una vita da precaria con tentazioni gastronomiche di vario tipo. Si imbatte nel fratello di Zeliha e, saputo che è di Istanbul, cerca "disperatamente di ricordarsi dove diavolo fosse Istanbul. Era la capitale dell'Egitto, o forse stava da qualche parte in India...Aggrottò la fronte perplessa".
Per 250 pagine il romanzo procede con un'irritante sfilza di banalità e luoghi comuni. 

Poi si incontrano venti pagine molto intense nelle quali si entra nel vivo della questione armena. 
A partire da questo punto il romanzo ha una svolta e trova un suo perchè. Alcuni personaggi acquistano drammaticità e  ci sono delle sorprese, anche se ottenute a buon mercato, utilizzando tinte forti. E c'è anche uno stucchevole compiacimento nel voler chiudere i cerchi a tutti i costi, cercando coincidenze ad effetto.
Insomma, non darei un giudizio negativo se non fosse per il grande scarto tra le aspettative iniziali e le impressioni ricavate dalla lettura. 
A molti però è piaciuto. 

Elif Shafak, La bastarda di Istanbul, Rizzoli 2007, 387 pagg.

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