sabato 23 novembre 2013

Anna Karenina



Se Anna Karenina fosse soltanto la storia di un adulterio finito male, non avrebbe richiesto più di ottocento pagine per essere raccontato, nemmeno nel XIX secolo.
E, nonostante il titolo, è riduttivo considerarlo  il romanzo pieno di umana comprensione sui tormenti di una donna oppressa da una società ipocrita e perbenista.
Da una parte Anna Karenina  ci appare come una farfalla  imprigionata dietro un vetro: Tolstoj descrive minuziosamente, e dall’interno, il suo penoso affannarsi e dibattersi per tentare una via d’uscita, fino ad esaurirsi e scivolare nell’abisso dell’autodistruzione. Nello stesso tempo  dipinge un grandioso affresco dei tipi umani che compaiono al di là del vetro, figure e personaggi certo presenti nella società russa del suo tempo, ma in qualche modo paradigmatici di tipi umani che sono sempre esisti e sempre esisteranno.
In più, attraverso il personaggio di Konstantin Levin, ci anticipa parte dei suoi personali tormenti, ci fa intravedere quella crisi interiore che in lui scoppierà solo qualche anno più tardi, portandolo a scelte di vita importanti e piene di conseguenze per sé e per i suoi familiari.
La cosa affascinante è che tutti i personaggi principali del romanzo possono essere visti come degli “opposti” ad Anna, ognuno per motivi diversi.
Il primo personaggio che troviamo in scena è Stepan Arkadevic Oblonskij, il fratello di Anna, il farfallone capace di vivere con leggerezza e di farsi perdonare i suoi numerosi tradimenti, l’astuto e ozioso funzionario che ha fatto parte del ventre molle della burocrazia di ogni tempo e di ogni paese, l’amicone gioviale, generoso e sincero,il viveur spensierato e spendaccione,  il padre sempre pronto a giocare con i propri  figli, cui tutto concede.  E’ un vero artista nello schivare ogni fatica, ogni problema, ogni fastidio. Lascia volentieri alla moglie la parte più dura e faticosa del menage familiare. Stepan Arkadevic scivola con leggerezza nella vita e nelle sue contraddizioni, al contrario di Anna, che ci affonda. Tutti abbiamo conosciuto almeno uno Stepan Arkadevic nella nostra vita, e anche più di uno.
La moglie di Stefan Arkadevic è Dar’ja Aleksandrovna (Dolly). Il suo modo di essere opposta ad Anna è tutto nel suo stare con i piedi ben saldi a terra. Donna pratica, concreta, laboriosa, senza grilli per la testa , Dolly porta sulle sue spalle tutto il peso di una famiglia e di un marito svagato e cornificatore.  E’ l’angelo del focolare, che ascolta tutti, che comprende tutti , ha una parola per tutti. Un angelo fragile ed energico, sanguigno e ogni tanto sanguinante, che piange, si arrabbia, pensa di non farcela e invece riesce sempre. Tutto la divide da Anna, due modi opposti di essere donna.  Dolly ne è allo stesso tempo affascinata e contrariata, un po’ la compatisce e un po’ la invidia. Dolly vede in Anna cosa avrebbe potuto essere se non fosse stata Dolly.
Dolly è una delle sorelle di Katerina  Ščerbackaja (Kitty). Troviamo Kitty all’inizio del romanzo, ragazzina.  Tutte le ragazzine di ogni epoca e di ogni latitudine del globo sono state Kitty almeno una volta nella loro vita. Lo sono state quando si sono innamorate dei Beatles, dei Duran Duran e dei One Direction. Nella Russia del XIX secolo c’erano invece  il valzer, la polka e giovani ufficiali che facevano volare la loro fantasia. Piccole donne crescono e anche Kitty passa attraverso cocenti delusioni, scelte sbagliate, esperienze che le forgiano il carattere.  E quando arriverà ad innamorarsi di un uomo difficile, ombroso, con un fitto strato di rovi a proteggere la sua ricchezza d’animo, avrà già acquisito la personalità necessaria a fargli dare il meglio di sé. Riuscirà ad essere meravigliosa e immensa quando si troverà, proprio lei apparentemente così fragile, a prestare le ultime cure al cognato Nikolaj Dmitrievic, un reitetto  respinto da tutti.  Kitty è la storia di una formazione. La conosciamo da ragazzina, abbagliata dalla lucentezza di Anna, che le appare donna piena di vita, affascinante,  matura, eccezionalmente dotata di savoir faire-. Pagina dopo pagina seguiamo le due opposte parabole e alla fine, quando tornerà la quiete dopo la tempesta, sarà proprio la stella di Kitty a brillare forte nel cielo.
Anche quella di Konstantin Dmitirevic  Levin è la bella storia di un’evoluzione sofferta e ben riuscita, che fa da controcanto all’involuzione e allo smarrimento di sé impersonate da Anna.  Konstantin è l’eroe positivo del romanzo  (sue saranno anche le parole conclusive, lo sguardo avanti dopo la tragedia).  L’uomo che partendo dagli anfratti bui in cui aveva nascosto la sua anima , riesce a ritrovare se stesso, perché inizia una sua personale e faticosa ricerca, ma soprattutto perché trova la donna giusta. Un amore che salva, contrapposto ad un amore che travolge e distrugge.
Aleksej Karenin, intelligente, colto, abile, onesto, potente, rispettato e stimato da tutti. E’ tuttavia un uomo che la vita ha reso completamente anaffettivo.  Il tradimento di Anna è come un colpo di vento che spalanca le finestre e scompiglia l’ordine perfetto della sua vita senza vera vita. E’ un fastidioso accidente che vorrebbe scacciare, allontanare al più presto perché troppo impregnato di materia,  e Karenin invece si trova a suo agio soltanto nel suo  ordinato universo mentale. Ovviamente la sua prima preoccupazione va al decoro, all’etichetta, al  buon nome. Eppure non è un ipocrita: è uomo sinceramente attaccato a buoni principi, che  cerca di essere giusto e persino generoso. La  sua predisposizione a ricercare il bene lo porterà, in una notte sconvolgente,  a superare i vincoli imposti dal perbenismo e dal moralismo benpensante e a porgere evangelicamente l’altra guancia, a dare una tale prova di altruismo e magnanimità da soverchiare completamente Anna e il suo amante. Una ne rimarrà soffocata, confusa e annientata, l’altro sarà spinto a tentare il suicidio. Ma Karenin non capisce l’unica cosa che invece sarebbe necessario capire: per riconquistare Anna non gli è richiesto di trasformarsi in un campione di magnanimità,  ma semplicemente di  amarla. E invece  lui è uomo completamente incapace di amare, questo è il suo modo di essere opposto ad Anna, questa è la sua personale tragedia, da cui derivano tutte le altre.
Infine Aleksej  Vronskij: l’altra metà della mela di Anna, il seducente e fascinoso  tambeur de femme, l’ufficiale cinico e rapace. Ma Anna fa sul serio e lui rimane invischiato suo malgrado. I due sono fatti apposta per trovarsi e rovinarsi. Eros e thanatos,  amore e morte  all’opera, ma con una differenza. Basta solo un briciolo, un infinitesimo di convinzione in più o in meno e ci si ritrova su due sponde opposte. Entrambi, in momenti diversi, obbediscono all’impulso di togliersi la vita. Vronskij  lo fa per primo, ci crede davvero ma fallisce e quell’episodio strappa  definitivamente Anna dai resti della sua vita precedente. Mentre affonda, Vronskji afferra la mano della sua donna e la trascina con sé.  Anna invece non fallisce e non trascina il suo amante con sé.  Lo restituisce piuttosto alla vita, naufrago risputato dal mare dopo la tempesta, e al senso di colpa.
Questo per limitarci alle figure in primo piano, ma nell’affresco c’è molto altro. Anna è anche madre e alcune delle scene più toccanti del romanzo riguardano il rapporto con il figlio Serëža. Ci sono le principessine dei circoli mondani, le nobildonne bigotte, i latifondisti, i contadini, i professori universitari, i politici,gli ufficiali e tutto quanto occorre per far scorrere la storia con la maestosa e tranquilla bellezza del Volga.

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