mercoledì 16 luglio 2014

Il cacciatore di aquiloni



Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini, uno dei best seller internazionali più amato in Italia, è una storia molto coinvolgente a livello emotivo, con personaggi che si imprimono bene nella mente e che affronta temi che da sempre abitano il cuore umano e catturano l’attenzione dei lettori, in una ambientazione tanto affascinante quanto drammatica come l’Afghanistan degli ultimi decenni.

Si può provare a spiegare il successo del libro proprio con questa felice combinazione: i grandi ed eterni valori su cui l’uomo si interroga (il coraggio, la fedeltà, il tradimento, l’amicizia, la colpa, la famiglia) interpretati in un contesto  che è allo stesso tempo lontano e vicino. Lontano quanto basta per poter offrire al lettore occidentale un viaggio in una civiltà diversa e affascinante, ma anche assolutamente vicino e presente nella vita di tutti, dalle Torri Gemelle in poi.

E’ un libro scritto benissimo, che commuove, indigna, stupisce nonostante alcune banalizzazioni che non saprei dire se siano dovute più ad un difetto o a un eccesso di mestiere. Propendo per la seconda ipotesi, ma trovo che la furbizia non sia qualità necessariamente censurabile in un romanziere.

Per dire, il “cattivo” che fin da piccolo ammira Hitler e poi diventa un capo talebano (nascondendo i suoi freddi occhi azzurri dietro occhiali alla John Lennon) fa un po’ sorridere, ma non è da escludere che abbia contribuito anch’esso a trainare le vendite. Lo stesso cattivo, preparandosi al duello finale con il suo antagonista, annuncia ai suoi giannizzeri: “uno solo tra noi due uscirà vivo da questa stanza: se è lui ad uscire, lasciatelo andare”.  Una frase che nell’immaginario collettivo evoca chilometri di pellicole “western”.

Anche la preveggenza di papà Baba, che nel lontano 1975 si augura che il suo Paese non debba mai essere governato dai mullah, non sembra molto credibile: però è affermazione di sicura presa su noi occidentali, abituati per anni a considerare la barba di Bin Laden come l’autentica bandiera dell’Afghanistan.

Si potrebbero fare altri esempi di scarsa “autenticità”, ma si rischierebbe di fermare lo sguardo al dito invece che rivolgerlo alla luna.

Perché Il cacciatore di aquiloni è romanzo che funziona e lascia il segno. Si sente il profumo di culture, di tradizioni e di popolazioni antiche, a cui viene spontaneo calcare ogni zolla della loro terra con una fierezza, un’intensità e una consapevolezza di sé da suscitare grande rispetto e ammirazione. Noi occidentali non ci siamo più abituati, non si può dire che sia il tratto dominante dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti.

Partecipiamo alle vicende di Amir, di Hassan, di Ali e di Baba con grande trepidazione, in qualche punto tratteniamo il fiato, proviamo sgomento, angoscia, stupore, meraviglia. Ci lasciamo trasportare dalla poesia degli aquiloni in volo, una poesia resa più struggente per il fatto che sappiamo bene in che modo l’incanto sia stato spezzato. E poi si piange, in qualche pagina il groppo in gola si fa troppo forte.

Libro che fa anche riflettere? Non più di tanto. Sui temi di cui tratta non si va molto sotto la superficie. Hosseini li utilizza per caratterizzare i personaggi che, non a caso, tendono ad avere poche sfumature. E quando finalmente compare una contraddizione dentro uno di loro, una di quelle di cui è piena la vita, la storia avverte una sorta di potente movimento tellurico. E’ il caso di Baba, prima e dopo la grande rivelazione.

Chiudo con un dettaglio (i dettagli a volte spiegano molte cose):  Sanaubar, la madre di Hassan, mi ricorda un po’ la madre di Esmeralda in Notre-Dame de Paris. Fatte le debite proporzioni, c’è più di un’ analogia nei due personaggi e soprattutto nei melodrammatici ritrovamenti della prole perduta, anche se all’infelice e scellerata Sanaubar è stata data in sorte una fine più dolce (e almeno le è stata risparmiata l’esecuzione del figlio).  Le invenzioni letterarie, come le ricette di cucina, sembrano infinite ma gli ingredienti non lo sono.  E dunque spesso  si rielabora, si ricompone, si toglie una spezia qua, si aggiunge una salsa là, si trovano abbinamenti nuovi e originali.

Con semplicità e gusto per la narrazione, Hosseini è riuscito a darci emozioni, a farci viaggiare e conoscere luoghi e persone che ricorderemo. Senza la pretesa di entrare nella grande letteratura, ma con la giusta ambizione di piacere a molti.