giovedì 24 dicembre 2015

Natale ferroviario, di André Frénaud (1907-1993)





 
San Giuseppe non aveva mai visto locomotiva
e aveva paura di perdere i biglietti.
Era una sera di grandi partenze, la stazione febbrile
di folla e di fischi, di luci.
Giunti troppo presto, s’erano gingillati al buffet…
Non avevano prenotato i posti,
e ci fu anche chi disse che avessero sbagliato treno.
 

Nessuno ad augurargli buon viaggio.
Gli amici non erano stati avvertiti.
Vomitando fumo giallo e turchino come un drago
il treno cambiava binario agli scambi,
e ancora cambia, va più svelto, va.
Scompaiono i sobborghi e i segnali.

In piedi nel corridoio. Chi avrà compassione
d’una donna incinta e così bella e che geme?

Nello scompartimento vicino alcuni zeloti
s’accapigliarono spartendosi le provviste.
Dei richiamati facevano i finti tonti.
Un pubblicano tronfio d’esose esazioni
e la sua signora, una negra bellissima,
occupavano i posti d’angolo sul corridoio.
Un gran sacerdote faceva finta di leggere.

Un treno passa fragoroso e il bambino
già ne sbigottisce nella notte materna.
Via dritti per la gran distesa, nevica, piove, che importa,
fa caldo sui ponti rumoreggianti
quando rinfresca l’aria il fiume attraversato.
Già il tempo s’addormenta e le città diradano.
Foreste son superate e borghi, la valle rimonta.
Alle stazioni sconosciute le sbarre
s’abbassano e si rialzano nella campagna
arrotondata di lassù dalla volta stellata.
il canto degli angeli attutito dalle nuvole
non ce la fa a trapassare i boati del vagone.
La Vergine chiude gli occhi contro il vetro, vede.
 
– Tutti scendono – Albeggia.
San Giuseppe ha radunato le valigie.
Il ferroviere apre gli sportelli.
Sul marciapiede l’asino e il bue
son pronti e già parlottano.
Ah, dice Maria, umilmente
è qui che ha da compiersi la parola.


dalla raccolta: Il silenzio di Genova e altre poesie, 1967, traduzione di Giorgio Caproni


giovedì 26 novembre 2015

La strana biblioteca




La strana biblioteca è una favola di Haruki Murakami  che, nell’edizione italiana, è illustrata da Lorenzo Ceccotti. Una settantina di pagine scritte a caratteri grandi, con lo stile semplice e un po’ enigmatico di tutte le fiabe, intervallate da numerose  inquietanti illustrazioni. Una lettura di pochi minuti che libera una gran quantità di immagini, ci si mette più tempo a riflettere sul suo possibile significato che a leggerla.

C’è una biblioteca, c’è un bambino, e c’è il male. Nella biblioteca, nel labirinto degli infiniti mondi che si parlano, si intrecciano e si rincorrono, le tenebre possono essere rischiarate dalla luna nuova, si possono fare incontri con le più tenere creature dei tuoi sogni, e si può sperare che il cane feroce che ti terrorizza e ti mangerà vivo sia invece attaccato e annientato dal tuo piccolo storno. E quando uscirai dal labirinto delle pagine, il male rimarrà prigioniero lì dentro e nessuno ti farà domande, né ti chiederà spiegazioni.

Nel mondo reale non è così, la sofferenza e la solitudine si dissolvono con molta più fatica. “Quando sono solo, il buio intorno a me si fa molto profondo. Come in una notte di luna nuova”. Il mio piccolo storno rimarrà sempre un uccellino, non incontrerò mai l’uomo pecora e nessuna ragazza dalla pelle splendente come la luna verrà a sedersi vicino a me.

Come sarebbe bello se la tristezza e il dolore potessero sempre essere rinchiuse tra le pagine di un libro….

Pubblicato per Qlibri; per visualizzare commenti e scheda libro  clicca qui

giovedì 5 novembre 2015

Il regno degli amici



E’ proprio vero che l’adolescenza ti lascia addosso cicatrici di cui porterai per sempre il segno.

Quando pensi che di quel mondo lontano ti siano rimaste soltanto una manciata di foto sbiadite, qualche copertina di LP che conservi nostalgicamente come un cimelio e un pugno di amicizie su  FB, ci pensano i figli a riportarti indietro nel tempo, a ribollirti nei contorcimenti di questa età tenerissima e violenta, nella quale sembra che ti devi giocare tutto, e tutto è buio cieco oppure luce accecante, ti senti un dio oppure l’ultimo degli esseri viventi, giudichi spietatamente gli altri e te stesso, e per ogni capovolta dell’umore è sufficiente un brufolo in più, un appuntamento mancato, uno sguardo che indugia due secondi invece di uno.

E mentre guardi stralunato i tuoi figli che con violenza e ferocia ti riportano in quella foresta di emozioni, non ti passa nemmeno per la testa di chiederti: “ma io ero davvero così?” perché troppa è la preoccupazione che passino indenni questo guado, che la sfida che incoscientemente lanciano al destino li fortifichi e non li atterri e preghi che l’impulso autodistruttivo sia una febbre che li vaccini per sempre verso quelle fragilità che incombono su di loro come pericolosi e oscuri cavalieri neri.

Il regno degli amici è un avvincente romanzo che parla di quell’età bellissima e maledetta. Dove “l’amore e l’amicizia si sfidano come su un ring”, per usare le stesse parole di Raul Montanari. Quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo. Non andavano al bar i quattro protagonisti della storia, ma in una catapecchia sulla Martesana, uno di quei luoghi, “di quelle pieghe del mondo – per citare nuovamente l’autore – che spesso nelle città si trovano vicino alle ferrovie e vicino all’acqua”.

Romanzo che per i primi due terzi procede leggero tra umorismo e ironia, mentre nel finale vira decisamente sul drammatico perché ogni uomo ha “un’essenza poetica, un’esistenza comica e una fine tragica” e se scrivere è sempre un atto di dissenso verso il mondo, maturità è anche descrivere la vita in tutte le sue sfaccettature, senza spegnere la rabbia, ma senza trascurare il resto.

Un incontro fortunato con questo romanzo e con questo autore, una storia ruvida, che ti lascia l’amaro in bocca, quel che ci vuole per qualche boccone indigesto che talvolta nella vita ci capita di dover ingoiare.

giovedì 29 ottobre 2015

BookCity Milano 2015




Archiviata lo scorso week end anche la quarta edizione di Bookcity Milano, manifestazione che anno dopo anno diventa sempre più interessante e coinvolgente. La formula degli eventi dislocati in diversi luoghi della città è molto azzeccata, semmai il dilemma è la scelta ogni volta pìù dolorosa tra le numerose proposte in programma.

Combinando desiderio di approfondimento per  letture in corso o appena terminate, curiosità per libri ancora in wishlist, tempo disponibile, logistica e molti altri fattori, alla fine sono riuscito a partecipare a quattro iniziative. In ordine cronologico: l’incontro con Nassim Taleb al Piccolo Teatro Grassi, l’incontro con Corrado Augias ancora al Piccolo Teatro Grassi, l’incontro con Antonio Scurati e Aldo Cazzullo al Castello Sforzesco e infine l’incontro con Raul Montanari alla Fondazione Catella.


Nassim Taleb, è l’autore del celebre Cigno Nero, il saggio in cui spiega l’enorme importanza dell’imprevisto nella vita individuale e nella storia e nel quale critica le pretese di economisti, matematici e analisti finanziari di spiegarci il mondo e di suggerirci cosa è giusto fare o non fare. Pubblicato nel 2007, e ovviamente diventato un best seller durante gli anni della crisi seguita al caso Lehman Brothers, il Cigno Nero ha diviso il pubblico e gli addetti ai lavori.

L’ultimo libro di Nassim Taleb è però Antifragile, nel quale sostiene che ad essere meglio attrezzato ad affrontare una crisi non è chi è “robusto”, ma chi è il vero opposto del fragile, ovvero l’antifragile, che significa agile, snello, poco centralizzato, poco burocratizzato, poco regolato e per questo resistente agli urti molto meglio di chi è pesante e corazzato.  Meglio una sana e vitale confusione, meglio i litigi e il disordine piuttosto che una soporifera, illusoria e temporanea quiete destinata a provocare catastrofi al primo cigno nero in agguato. Antifragile è del 2012 e, sarà un caso, mai come in questi ultimi anni il linguaggio aziendale, economico e politico ha fatto uso del termine “resilienza”, che in precedenza era utilizzato solo da ingegneri e psicologi. 
Tra i velluti rossi del Piccolo Teatro, intervistato da Danilo Taino del Corriere della Sera e da Alberto Foà di Acomea SGR, Taleb ha spiegato le sue teorie sulla gestione del rischio facendo riferimento a diversi argomenti di attualità e a interessanti richiami storici. Le frasi ad effetto:

“Alla fine i numeri mentono sempre, guardate alle passioni”

“Fidatevi esclusivamente delle opinioni per cui chi le ha espresse si è preso un rischio”.

Corrado Augias, solo sotto i riflettori sul palco del Piccolo, ha introdotto il suo libro Le ultime diciotto ore di Gesù rispondendo poi a numerose domande del pubblico. Augias è un grande affabulatore, dal linguaggio forbito e capace di arricchire la conversazione con esempi, aneddoti e citazioni colte e interessanti. Una per tutte: per rendere l’idea di cosa poteva essere un procuratore  delle provincie romane come Ponzio Pilato, Augias ricorda la definizione che Tacito diede di Felice, procuratore della Giudea ai tempi di Paolo di Tarso:  “esercitò il potere di un re con lo spirito di uno schiavo”, frase immensa e potente, come spesso accade con Tacito.

Augias definisce la sua ultima fatica come “un romanzo non-fiction”, ovvero un romanzo non di pura immaginazione. Per alcuni personaggi, in particolare Pilato e Giuda Iscariota, l’apostolo che tradì Gesù, ha voluto ristabilire un po’ di verità storica, togliendoli dalla luce ambigua che su di loro viene indirizzata dai Vangeli canonici. In particolare il Vangelo di Matteo, scritto dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 e nel quale si percepisce la voglia di compiacere gli occupanti romani. Per altri personaggi, in particolare Giuseppe e Maria, di cui i Vangeli parlano pochissimo, ha cercato di raccontare semplicemente un padre e una madre. Alla richiesta di una spiegazione del suo interresse, da non credente, per i temi religiosi, Augias risponde sagace: “Perché ormai privo di riferimenti ideologici e politici a cui ispirarmi … ho guardato più in alto!”
   

Nell’ampio spazio del Cortile delle Armi del Castello Sforzesco, sotto la tendopoli dell’Auditorium, Antonio Scurati e Aldo Cazzullo hanno conversato sui rispettivi libri, Il tempo migliore della nostra vita e Possa  il mio sangue servire, intervallati dalle letture dei brani fatta con maestria da Anna Nogara.

Il messaggio che hanno trasmesso forte e chiaro è che la generazione dura e tosta che ha fatto la Resistenza è un modello per i giovani d’oggi molto più di quanto lo sia la generazione degli attuali padri, cresciuti negli anni del benessere e dello sviluppo economico (Cazzullo è del 1966, Scurati del 1969). Una generazione, quella dei baby boomers, incapace di pensarsi al plurale, di fare delle cose insieme, di dire “noi”. Dunque per trovare gli “eroi” bisogna voltarsi indietro, guardare al passato, saltare gli errori e le deviazioni della generazione che ha fatto il ’68 e arrivare dritti dritti ai tempi duri della guerra, del fascismo, della resistenza, della povertà, della ricostruzione. A Cazzullo sembra che le preoccupazioni dei padri rispetto ai figli si siano trasformate di pari passo con la crescita del benessere e l’abbassamento della tensione morale. Infatti osserva che la generazione dei nostri nonni era ossessionata dal cibo, la loro preoccupazione era innanzi tutto sfamare la famiglia. La generazione dei nostri padri invece era ossessionata dallo studio: voleva che i figli studiassero, perché avessero un avvenire migliore. Ora la generazione nata a cavallo degli anni sessanta e settanta è ossessionata dal fatto che i figli siano felici e che non provino il minimo dispiacere. Chiosa finale di Scurati: sembra che l’ossessione del cibo sia tornata alla grande da qualche anno a questa parte … (Come negarlo?)


Atmosfera più raccolta alla Fondazione Catella, dove Raul Montanari ha parlato e letto brani del suo ultimo romanzo Il regno degli amici, supportato e guidato dalle ottime domande di Selvaggia Lucarelli.

Il romanzo affronta il mondo degli adolescenti, un’età in cui l’uomo, molto più che la donna, scopre una volta per tutte la propria identità, per non allontanarsene più. Mentre la donna ha un rapporto più sano con il trascorrere del tempo, l’uomo rimane per tutta la vita legato a quell’ ”io” conosciuto da ragazzo, generalmente in modo traumatico (“il danno”), ascolterà pateticamente sempre la stessa musica, manterrà gli stessi gusti, etc.  L’adolescenza è ovviamente anche l’età delle grandi domande filosofiche, fatte con una purezza mai più eguagliata, ed è soprattutto l’età in cui si affrontano come su un ring l’amicizia e l’amore. Per il Montanari adolescente qual è stato il danno? La scoperta che in amore non vale il merito. “Ho provato cosa significa pensare di valere poco nel grande mercato dell’amore”,

La chiacchierata prosegue poi piacevolmente spaziando dal personaggio totemico dei romanzi di Montanari (Ric Velardi) alle caratteristiche della sua scrittura: “alcuni mi classificano erroneamente nel genere noir, ma io non gli appartengo, perché a parte il ritmo serrato che a volte può avere la mia scrittura a me non interessano gli elementi che normalmente caratterizzano un noir, e cioè le indagini della polizia, il rendiconto alla giustizia, etc. A me interessa il dentro e non il fuori”.

Raul Montanari gestisce anche una nota scuola di scrittura creativa e non può mancare qualche domanda al riguardo, a cui risponde partendo da una citazione di Stephen King: “il talento è una merce che si vende a chili, come il sale; la differenza la fa la determinazione”. La tecnica si può apprendere a scuola, risparmiando così anni di lavoro, e unita alla determinazione ti può portare dove vuoi. La scrittura nasce comunque quasi sempre dal dolore, dal non sentirsi a posto con il mondo. C’è del vero nel detto “o scrivi o vivi”. Scrivere è sempre un no. Se uno si sente in armonia con il mondo, difficilmente scrive, al massimo dipinge.

Tra il serio e lo scherzoso, racconta infine di come lui stesso sia stato molto aiutato da Aldo Busi, durante un periodo molto difficile della sua vita, nei primi anni novanta. Busi gli faceva lunghissime telefonate quotidiane, regalandogli alla fine alcuni insegnamenti che gli hanno fatto compiere progressi enormi. Ma con un monito: “guarda che le storie prima o poi finiscono, io ne ho cinque, dopo non resta che ripetersi …”

Una curiosità: le due passioni di Raul Montanari (a parte la scrittura, che non è una passione, ma è la sua vita) sono gli scacchi e la pesca con la mosca. Cos’hanno in comune? Niente, solo il fatto che gli sono state trasmesse da due differenti zii.


In conclusione, quattro incontri molto interessanti, in ognuno dei quali il tempo è volato, in luoghi dove è sempre bello tornare, dove si sono conosciuti da vicino gli autori, si sono raccolte informazioni e curiosità e soprattutto si è rafforzato il significato della lettura. Quando la parola esce dalla pagina scritta, si amplia, si completa e si collega più facilmente all’esperienza di vita. 

 Arrivederci al prossimo anno!