venerdì 25 settembre 2015

Le ultime diciotto ore di Gesù

Recensione pubblicata per  Qlibri

Nella sua lunga carriera di giornalista, scrittore e conduttore televisivo, Corrado Augias ci ha portato in giro per il mondo, svelandoci i segreti delle grandi città (Parigi, Londra, New York), con lucide inchieste ci ha interessati a importanti casi di cronaca giudiziaria (Telefono Giallo), ha scritto lui stesso qualche noir (il delitto e il mistero evidentemente lo intrigano assai), ha portato i libri e la cultura sul piccolo schermo (Babele).
Da qualche anno si sta dedicando a inchieste, viaggi e ricostruzioni sul pianeta Gesù, utilizzando un po’ tutte le abilità sviluppate nei lavori precedenti.
 “Le ultime diciotto ore di Gesù” è una fiction, come spiega Augias stesso, intendendo il termine nel suo significato etimologico (dal latino fingere: figurarsi, immaginare, supporre, ipotizzare)  estendendolo un po’: sognare, “perché qualunque storia è almeno in parte una bugia – o un sogno”.
Tutti sappiamo che la storia di Gesù è storia rivelata solo in parte, è storia di chi ama e vuole essere scoperto, lasciando sufficienti  segni per credere e altrettanti per respingerlo. L’intelletto non può arrivare a sciogliere ogni dubbio, come non ci si può innamorare con la sola forza della ragione. Le luci e le ombre possono però essere usate per figurarsi una scena, per tentare di descriverla e raccontarla. Si può usare il realismo crudo del Caravaggio nella “Morte della Vergine” oppure la maestosità dei sontuosi mosaici bizantini: stessi personaggi, stesse scene, ma rappresentazioni diverse, racconti diversi.
Il racconto, la fiction, il sogno di Augias è interessante e ben costruito. La credibilità è lasciata al giudizio del lettore e probabilmente non è più di tanto un obiettivo dell’opera. C’è comunque molta ricerca, rigore, studio, attenzione, amore per i dettagli. Chi conosce l’autore non può aver dubbi al riguardo. Le sue fonti spaziano dai Vangeli canonici a quelli apocrifi, dai rotoli di Qumràn alle storie di Flavio Giuseppe e la narrazione rimanda ogni tanto a qualche importante riferimento filosofico-letterario (Dostoevskij, Bulgakov, Seneca, Epicuro, Lucrezio).
Augias cerca di ricostruire quella manciata di ore che trascorrono dall’arresto nel Getsemani alla morte sulla croce, passando attraverso due processi (religioso e politico) e la flagellazione. Letto da una prospettiva unicamente storica e umana, la storia di Gesù è anche un caso giudiziario con molti lati oscuri. Non sono chiare le accuse, le prove, i testimoni. L’intensa, complessa, controversa ed enigmatica personalità dell’imputato obbliga a spostare l’attenzione sugli altri personaggi: innanzi tutto Ponzio Pilato e i gran sacerdoti, ma anche il tetrarca Erode Antipa con la sua corte corrotta, il fariseo Nicodemo, il traditore Giuda Iscariota.
Su di loro si cercano testimonianze, citazioni, aneddoti, riscontri. I personaggi di fantasia (il leale centurione Kyrillos, l’ambiguo consigliere Nikephoros) servono per portarci dentro la storia, farcela vivere in 3D, oppure (lo scrittore Lucilio) per trasferirci le probabili personali inquietudini dello stesso Augias.
Giuseppe e Maria, totalmente umanizzati e privati di ogni connotazione mistica, danno vita e colore a una libera interpretazione dell’ambiente domestico nel quale Gesù è nato e cresciuto.
Nonostante l’imminente festività della Pasqua ebraica, il clima entro il quale si avverano le antiche profezie è fosco, intorbidito dalla decapitazione di Giovanni il Battista. Fioriscono i complotti, i tranelli, i tradimenti, i sotterfugi, i calcoli opportunistici, le debolezze, le vigliaccherie. Tutto contribuisce a rendere plastico il concetto che proprio per l’eterna inadeguatezza umana Gesù salì sulla croce.
Un uomo si trova suo malgrado al centro di queste trame malsane: il procuratore romano Ponzio Pilato che, dando credito al giudizio di  Filone d’Alessandria, Augias rappresenta come un malmostoso, collerico, ulceroso e grezzo militare, infastidito dall’ennesima grana che gli tocca risolvere in quella lontana, infida e riottosa provincia dell’Impero.
Pilato è preoccupato. Ha già commesso gravi errori. A Roma lo tengono d’occhio, sa che un altro passo falso gli sarebbe fatale: la competizione è spietata, i nemici lo incalzano, i benefattori sono lontani e ormai disinteressati alla sua sorte. Per giunta, sua moglie Claudia Procula lo tormenta con oscuri presagi e sembra inspiegabilmente sensibile alla sorte di questo profeta pazzo e sventurato. I gran sacerdoti gli hanno teso una trappola, scaricandogli la responsabilità di mandare a morte un innocente. Come venirne fuori?
Un’ultima annotazione. Un libro come questo non poteva escludere completamente l’ambito spirituale. La stessa rappresentazione storica, umana e terrena dei fatti sarebbe stata deformata, perché ogni singolo atto o parola che riguarda Gesù è intrisa di spiritualità. Alcuni personaggi (Nicodemo, Giuda, gli Esseni) coprono l’ambito culturale e di testimonianza di questo aspetto. Il suo lato esistenziale è invece affidato a due anime inquiete: Claudia Procula e soprattutto lo scrittore Caio Quinto Lucilio, dietro al quale fa capolino, forse, lo stesso Augias.
Lucilio è uomo colto e sensibile, mosso da pietas, capisce, si interroga, riflette. Non gli piacciono le risposte e le soluzioni di comodo, pur nella consapevolezza che su di esse si regge il governo del mondo.

Nauseato dalla conclusione di questa storia, Lucilio lascerà Gerusalemme, tornerà a Roma e con gli anni seppellirà ogni giovanile speranza di resurrezione dopo la morte, non aspettandosi altro che il ritorno a madre natura, nella cui infinita immensità è dolce naufragare.


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