giovedì 29 ottobre 2015

BookCity Milano 2015




Archiviata lo scorso week end anche la quarta edizione di Bookcity Milano, manifestazione che anno dopo anno diventa sempre più interessante e coinvolgente. La formula degli eventi dislocati in diversi luoghi della città è molto azzeccata, semmai il dilemma è la scelta ogni volta pìù dolorosa tra le numerose proposte in programma.

Combinando desiderio di approfondimento per  letture in corso o appena terminate, curiosità per libri ancora in wishlist, tempo disponibile, logistica e molti altri fattori, alla fine sono riuscito a partecipare a quattro iniziative. In ordine cronologico: l’incontro con Nassim Taleb al Piccolo Teatro Grassi, l’incontro con Corrado Augias ancora al Piccolo Teatro Grassi, l’incontro con Antonio Scurati e Aldo Cazzullo al Castello Sforzesco e infine l’incontro con Raul Montanari alla Fondazione Catella.


Nassim Taleb, è l’autore del celebre Cigno Nero, il saggio in cui spiega l’enorme importanza dell’imprevisto nella vita individuale e nella storia e nel quale critica le pretese di economisti, matematici e analisti finanziari di spiegarci il mondo e di suggerirci cosa è giusto fare o non fare. Pubblicato nel 2007, e ovviamente diventato un best seller durante gli anni della crisi seguita al caso Lehman Brothers, il Cigno Nero ha diviso il pubblico e gli addetti ai lavori.

L’ultimo libro di Nassim Taleb è però Antifragile, nel quale sostiene che ad essere meglio attrezzato ad affrontare una crisi non è chi è “robusto”, ma chi è il vero opposto del fragile, ovvero l’antifragile, che significa agile, snello, poco centralizzato, poco burocratizzato, poco regolato e per questo resistente agli urti molto meglio di chi è pesante e corazzato.  Meglio una sana e vitale confusione, meglio i litigi e il disordine piuttosto che una soporifera, illusoria e temporanea quiete destinata a provocare catastrofi al primo cigno nero in agguato. Antifragile è del 2012 e, sarà un caso, mai come in questi ultimi anni il linguaggio aziendale, economico e politico ha fatto uso del termine “resilienza”, che in precedenza era utilizzato solo da ingegneri e psicologi. 
Tra i velluti rossi del Piccolo Teatro, intervistato da Danilo Taino del Corriere della Sera e da Alberto Foà di Acomea SGR, Taleb ha spiegato le sue teorie sulla gestione del rischio facendo riferimento a diversi argomenti di attualità e a interessanti richiami storici. Le frasi ad effetto:

“Alla fine i numeri mentono sempre, guardate alle passioni”

“Fidatevi esclusivamente delle opinioni per cui chi le ha espresse si è preso un rischio”.

Corrado Augias, solo sotto i riflettori sul palco del Piccolo, ha introdotto il suo libro Le ultime diciotto ore di Gesù rispondendo poi a numerose domande del pubblico. Augias è un grande affabulatore, dal linguaggio forbito e capace di arricchire la conversazione con esempi, aneddoti e citazioni colte e interessanti. Una per tutte: per rendere l’idea di cosa poteva essere un procuratore  delle provincie romane come Ponzio Pilato, Augias ricorda la definizione che Tacito diede di Felice, procuratore della Giudea ai tempi di Paolo di Tarso:  “esercitò il potere di un re con lo spirito di uno schiavo”, frase immensa e potente, come spesso accade con Tacito.

Augias definisce la sua ultima fatica come “un romanzo non-fiction”, ovvero un romanzo non di pura immaginazione. Per alcuni personaggi, in particolare Pilato e Giuda Iscariota, l’apostolo che tradì Gesù, ha voluto ristabilire un po’ di verità storica, togliendoli dalla luce ambigua che su di loro viene indirizzata dai Vangeli canonici. In particolare il Vangelo di Matteo, scritto dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 e nel quale si percepisce la voglia di compiacere gli occupanti romani. Per altri personaggi, in particolare Giuseppe e Maria, di cui i Vangeli parlano pochissimo, ha cercato di raccontare semplicemente un padre e una madre. Alla richiesta di una spiegazione del suo interresse, da non credente, per i temi religiosi, Augias risponde sagace: “Perché ormai privo di riferimenti ideologici e politici a cui ispirarmi … ho guardato più in alto!”
   

Nell’ampio spazio del Cortile delle Armi del Castello Sforzesco, sotto la tendopoli dell’Auditorium, Antonio Scurati e Aldo Cazzullo hanno conversato sui rispettivi libri, Il tempo migliore della nostra vita e Possa  il mio sangue servire, intervallati dalle letture dei brani fatta con maestria da Anna Nogara.

Il messaggio che hanno trasmesso forte e chiaro è che la generazione dura e tosta che ha fatto la Resistenza è un modello per i giovani d’oggi molto più di quanto lo sia la generazione degli attuali padri, cresciuti negli anni del benessere e dello sviluppo economico (Cazzullo è del 1966, Scurati del 1969). Una generazione, quella dei baby boomers, incapace di pensarsi al plurale, di fare delle cose insieme, di dire “noi”. Dunque per trovare gli “eroi” bisogna voltarsi indietro, guardare al passato, saltare gli errori e le deviazioni della generazione che ha fatto il ’68 e arrivare dritti dritti ai tempi duri della guerra, del fascismo, della resistenza, della povertà, della ricostruzione. A Cazzullo sembra che le preoccupazioni dei padri rispetto ai figli si siano trasformate di pari passo con la crescita del benessere e l’abbassamento della tensione morale. Infatti osserva che la generazione dei nostri nonni era ossessionata dal cibo, la loro preoccupazione era innanzi tutto sfamare la famiglia. La generazione dei nostri padri invece era ossessionata dallo studio: voleva che i figli studiassero, perché avessero un avvenire migliore. Ora la generazione nata a cavallo degli anni sessanta e settanta è ossessionata dal fatto che i figli siano felici e che non provino il minimo dispiacere. Chiosa finale di Scurati: sembra che l’ossessione del cibo sia tornata alla grande da qualche anno a questa parte … (Come negarlo?)


Atmosfera più raccolta alla Fondazione Catella, dove Raul Montanari ha parlato e letto brani del suo ultimo romanzo Il regno degli amici, supportato e guidato dalle ottime domande di Selvaggia Lucarelli.

Il romanzo affronta il mondo degli adolescenti, un’età in cui l’uomo, molto più che la donna, scopre una volta per tutte la propria identità, per non allontanarsene più. Mentre la donna ha un rapporto più sano con il trascorrere del tempo, l’uomo rimane per tutta la vita legato a quell’ ”io” conosciuto da ragazzo, generalmente in modo traumatico (“il danno”), ascolterà pateticamente sempre la stessa musica, manterrà gli stessi gusti, etc.  L’adolescenza è ovviamente anche l’età delle grandi domande filosofiche, fatte con una purezza mai più eguagliata, ed è soprattutto l’età in cui si affrontano come su un ring l’amicizia e l’amore. Per il Montanari adolescente qual è stato il danno? La scoperta che in amore non vale il merito. “Ho provato cosa significa pensare di valere poco nel grande mercato dell’amore”,

La chiacchierata prosegue poi piacevolmente spaziando dal personaggio totemico dei romanzi di Montanari (Ric Velardi) alle caratteristiche della sua scrittura: “alcuni mi classificano erroneamente nel genere noir, ma io non gli appartengo, perché a parte il ritmo serrato che a volte può avere la mia scrittura a me non interessano gli elementi che normalmente caratterizzano un noir, e cioè le indagini della polizia, il rendiconto alla giustizia, etc. A me interessa il dentro e non il fuori”.

Raul Montanari gestisce anche una nota scuola di scrittura creativa e non può mancare qualche domanda al riguardo, a cui risponde partendo da una citazione di Stephen King: “il talento è una merce che si vende a chili, come il sale; la differenza la fa la determinazione”. La tecnica si può apprendere a scuola, risparmiando così anni di lavoro, e unita alla determinazione ti può portare dove vuoi. La scrittura nasce comunque quasi sempre dal dolore, dal non sentirsi a posto con il mondo. C’è del vero nel detto “o scrivi o vivi”. Scrivere è sempre un no. Se uno si sente in armonia con il mondo, difficilmente scrive, al massimo dipinge.

Tra il serio e lo scherzoso, racconta infine di come lui stesso sia stato molto aiutato da Aldo Busi, durante un periodo molto difficile della sua vita, nei primi anni novanta. Busi gli faceva lunghissime telefonate quotidiane, regalandogli alla fine alcuni insegnamenti che gli hanno fatto compiere progressi enormi. Ma con un monito: “guarda che le storie prima o poi finiscono, io ne ho cinque, dopo non resta che ripetersi …”

Una curiosità: le due passioni di Raul Montanari (a parte la scrittura, che non è una passione, ma è la sua vita) sono gli scacchi e la pesca con la mosca. Cos’hanno in comune? Niente, solo il fatto che gli sono state trasmesse da due differenti zii.


In conclusione, quattro incontri molto interessanti, in ognuno dei quali il tempo è volato, in luoghi dove è sempre bello tornare, dove si sono conosciuti da vicino gli autori, si sono raccolte informazioni e curiosità e soprattutto si è rafforzato il significato della lettura. Quando la parola esce dalla pagina scritta, si amplia, si completa e si collega più facilmente all’esperienza di vita. 

 Arrivederci al prossimo anno!



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