domenica 29 maggio 2016

Un santo protettore contro le malelingue



Narra la leggenda che Venceslao IV ( n.1361 - m.1419), re di Germania e di Boemia e soprannominato dai suoi sudditi  il “re fannullone” per  i suoi continui tentennamenti  e per il temperamento vizioso, nutrendo continui e paranoici dubbi sulla fedeltà della sua sposa, pretese dal confessore della regina, Giovanni da Nepomuk, che gli rivelasse ciò che lei gli raccontava nel segreto del confessionale.

Di fronte al rifiuto del sacerdote, il 16 maggio 1393 re Venceslao lo fece torturare e poi gettare ancora vivo nelle acque della Moldava. Sempre secondo la leggenda, la lingua taciturna di San Giovanni Nepomuceno fu ritrovata secoli dopo ancora intatta. Santo patrono di Boemia, dei confessori, delle acque e contro le calamità naturali,  il suo nome può a buon diritto essere invocato a protezione da tutte le malelingue e a tutela della riservatezza.

Insomma un santo a cui votarsi contro tutti i danni provocati dalle acque e dalle bocche, quando entrambe crescono, si fanno aggressive e montano impetuose. In parecchi ponti in giro per il mondo sono state erette statue in suo nome e non sarebbe male dedicargli una piccola edicola virtuale anche nella mitica Rete. 
Visto che fioccano le Giornate Mondiali dedicate ad ogni cosa, si potrebbe istituire per il 16 maggio, giorno della sua ricorrenza, la Giornata Mondiale di astensione dal pettegolezzo... :-)

mercoledì 25 maggio 2016

Levin, il lavoro, la vita e la felicità

Rubens - ritorno dei contadini dai campi
"Continuava a lavorare, ma ora sentiva che il centro di gravità della sua attenzione si era spostato su qualcos'altro e, di conseguenza, guardava al suo lavoro in modo del tutto diverso e più sereno. Un tempo, lavorare era un modo per salvarsi dalla vita. Un tempo sentiva che senza il lavoro la sua vita sarebbe stata troppo cupa. Adesso, invece, gli impegni gli erano necessari perchè la felicità della sua vita non fosse troppo monotona".

Tolstòj - Anna Karenina

domenica 22 maggio 2016

Pensare bene, per vivere meglio



Cosa sono le “emozioni distruttive”? A cosa servono? Sono necessariamente un male? A quali conseguenze portano?  In che modo si possono superare? Quanto dipendono da fattori ambientali e culturali? In che modo gli individui si differenziano nel provare e riconoscere le emozioni? Ci può essere un’educazione alla felicità?

Questi sono solo alcuni degli interrogativi a cui ha cercato di rispondere un gruppo formato da una dozzina di scienziati occidentali e di monaci tibetani, che si sono incontrati a Dharamsala, dove risiede il Dalai Lama, per cinque giorni di dibattito nel marzo del 2000.


Daniel Goleman, lo psicologo americano celebre per i suoi studi sull’”Intelligenza emotiva” ha riassunto dettagliatamente questa esperienza, collegandola agli studi che la precedettero e agli sviluppi scientifici che ne seguirono, nel saggio “Emozioni distruttive, liberarsi dai tre veleni della mente, rabbia desiderio e illusione” pubblicato nel 2003.



La scoperta scientifica, che si colloca a fine anni Novanta, che ha reso questo incontro particolarmente proficuo e ricco di potenzialità per il futuro, è la plasticità del cervello, la sua capacità di rinnovarsi e modificarsi per tutta la vita. Risale solo al 1998 la dimostrazione che negli esseri umani nascono nuovi neuroni per tutto il corso dell’esistenza. Non solo: i nostri pensieri, le nostre emozioni sono in grado di modificare il cervello e dunque possono condizionare i pensieri e le emozioni successive. Allenarsi a pensare bene ci abitua a pensare meglio in futuro. Non lo dicono (solo)  filosofi morali e monaci, ma (anche) medici e scienziati, e non in base a teorie o assiomi, ma a seguito di ricerche, esami di laboratorio e sofisticati esperimenti.


Il gruppo di lavoro di Dharamsala, marzo 2000
La cultura buddista, fondata sul concetto di meditazione e di compassione, è un ambito particolarmente fertile per studiare gli effetti che un adeguato allenamento emotivo è in grado di produrre sulle funzioni cerebrali e in definitiva sulla nostra salute. Come a Goleman fu profetizzato negli anni Settanta del secolo scorso, il buddismo si è introdotto in Occidente soprattutto per mezzo della psicologia. Determinate tecniche di meditazione ottengono un effetto sulla capacità di controllo delle nostre emozioni distruttive pari o superiore a quello dei farmaci, evitandone effetti collaterali, assuefazione e dipendenza.


La psicologia in Occidente nacque come osservazione e cura di stati patologici e per decenni si è concentrata sugli stati mentali insani, trascurando gli stati mentali che producono felicità e benessere. La ricerca del bene, o della felicità, in Occidente è stata lasciata ai filosofi morali e ai teologi. Solo in epoca relativamente recente,  anche grazie ad aperture e dialoghi di questo tipo con la cultura orientale, se ne stanno occupando anche medici e scienziati.


Sul concetto di “negatività” di un’emozione, ad esempio, cultura occidentale e cultura buddista hanno visioni diverse. In Occidente si parla di “emozioni distruttive” pensando alle conseguenze pratiche e materiali che esse esercitano su chi le prova e su coloro che le subiscono. Oppure si guarda all’appropriatezza delle emozioni:  è normale provare tristezza per la morte di un proprio caro, ma il depresso l’assume come stato d’animo permanente.

Per la cultura buddista invece la negatività è già implicita nell’offuscamento della mente, che quando è libera dalle emozioni è lucida e brilla come oro. Più che di emozioni, il buddismo preferisce parlare di “afflizioni mentali” che impediscono di vedere chiaramente le cose e in questo sta la loro carica negativa. 


Non c’è nella cultura buddista una così netta distinzione tra pensiero ed emozione. E in effetti, recenti esperimenti hanno dimostrato che le zone del cervello stimolate dai pensieri e dalle emozioni sono le stesse. Ciò fornisce evidenza scientifica al concetto largamente diffuso nella sapienza popolare che quando siamo in preda ad un’emozione pensiamo male e dobbiamo prima calmarci. 


Come dice un proverbio toscano, non si può soffiare e succhiare nello stesso momento. Allo stesso modo, ad esempio, non si può provare contemporaneamente odio e amore. Gli “antidoti” per le emozioni distruttive sono quindi le emozioni positive di natura opposta. Più si sarà in grado di coltivarle, più si potrà riconoscere l’emozione negativa come una semplice nube inconsistente, passeggera, dietro alla quale il sole continua a brillare. Un uccello che attraversa il cielo senza lasciare traccia, un disegno fatto sull’acqua, che subito scompare. Quando cominci ad abituarti a riconoscere i pensieri quando insorgono, è come riconoscere velocemente qualcuno che conosci in mezzo alla folla. Oh, sta arrivando quel pensiero. E’ il primo passo per evitare di esserne sopraffatti.

Più ci si allena a produrre stati mentali positivi, come ad esempio la compassione, più questi diventano un’abitudine e anche una base per controllare meglio le emozioni distruttive. E l'attenzione agli altri, il riconoscimento delle loro emozioni, ci permetterà di sentirci meno indifesi di fronte alle nostre.


Nelle scritture buddiste si parla di ottantaquattromila tipi di emozioni negative, che si riconducono tuttavia a cinque principali: odio, attaccamento, ignoranza, orgoglio e gelosia. Secondo una prospettiva occidentale ci potrebbe essere qualche difficoltà a includere nell’elenco l’attaccamento e l’ignoranza. Le diverse visioni sull’attaccamento derivano da una concezione dell’ego molto più forte nella cultura occidentale. L’ignoranza invece viene considerata dal buddismo un aspetto della mente che provoca afflizione perché impedisce un riconoscimento lucido e vero della realtà.


Tutte le emozioni, anche quelle negative, hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo per la sopravvivenza e per l’evoluzione della specie, come già affermato da Darwin nel 1872 (“L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali”). Essenzialmente il ruolo dell’emozione è quello di indurci ad agire rapidamente, senza fermarsi a pensare, cosa che in alcune situazioni può essere di vitale importanza. Tuttavia le differenze biologiche individuali e le esperienze fatte espongono alcune persone ad una maggiore difficoltà nel controllo delle proprie emozioni. 


La zona del cervello preposta al controllo delle emozioni si trova nell’area prefrontale, l’ultima emersa nel corso dell’evoluzione. Le zone della corteccia frontale sinistra svolgono un ruolo importante per le emozioni positive, mentre il lobo frontale destro lo svolge per le emozioni negative. L’amigdala, che è una parte più primitiva del nostro cervello, è fondamentale per i circuiti che attivano l’emozione stessa. Infine l’ippocampo, che si colloca tra l’amigdala e la zona prefrontale è dedicato alla comprensione del contesto delle emozioni e alla loro memoria. Dunque quando proviamo un’emozione sono molte le zone del nostro cervello ad entrare in azione.


La manifestazione delle emozioni, tramite i nostri muscoli facciali, e tramite le nostre reazioni fisiologiche, è universale in tutto il mondo e in tutte le culture, sono state fatte interessanti ricerche a questo proposito, tuttavia ci sono notevoli differenze individuali circa la velocità e intensità con cui le emozioni si manifestano e anche circa la durata dei loro effetti. Differenze genetiche, ma  pur sempre modificabili con le esperienze e la pratica. 


Nell’individuo che riesce a recuperare più velocemente dopo un’emozione si riscontra  un livello più basso di cortisolo, che è un ormone che si produce in condizioni di stress, e anche una migliore funzionalità di certi aspetti del sistema immunitario. Insomma, qui troviamo anche il riscontro scientifico del detto popolare che lasciarsi vincere dalle emozioni negative rende il sangue amaro, mentre il sorriso e una sincera attenzione agli altri vanno anche a vantaggio della nostra salute.


Nel lungo e denso resoconto che Goleman ha fatto degli incontri di Dharamsala (impossibile sintetizzare tutto in poco spazio) mi hanno colpito soprattutto le relazioni di Richard Davidson, pioniere della neuroscienza affettiva, di Paul Ekman, psicologo e più grande esperto mondiale del riconoscimento delle emozioni sul viso delle persone  (è stato ovviamente consulente delle forze dell’ordine e dei servizi segreti), di Matthieu Ricard, monaco buddista, scienziato, figlio del filosofo francese Jean François Revel (insieme a lui scrisse il pamphlet “Il monaco e il filosofo”, dialogo su scienza e spiritualità) e Mark Greenberg psicologo specializzato in programmi di apprendimento sociale ed emotivo per bambini. Molto interessante anche il primo capitolo, che spiega dettagliatamente gli esperimenti svolti da Davidson e da Ekman sul controllo delle emozioni di un monaco tibetano, il Lama Öser. Tali esperimenti seguirono i colloqui di Dharamsala e portarono ulteriori riscontri scientifici a molte delle tesi discusse.


Segnalo anche quest’ottima recensione che ho trovato sul web: 
 http://www.corem.unisi.it/bibliografia/recensioni/goleman_emozioni_distruttive.pdf

Matthieu Ricard
Richard Davidson


Mark Greenberg





giovedì 19 maggio 2016

Marco Pannella




 


















Un gigante nelle sue qualità e nei suoi difetti, si percepiva una smisurata passione in ogni cosa che faceva. Logorroico e spesso insopportabile, era interessato più a smuovere le coscienze che a governare, men che meno a (male)amministrare. Non proprio un politico ma piuttosto un visionario, un agitatore sociale, un idealista. Nemico di ogni moralismo, eppure di moralità così alta da conquistarsi il rispetto di tutti, anche dei suoi avversari (e tutti siamo stati suoi avversari prima o dopo, se non altro per disinteresse o per ignavia). 
Con il crollo della "Prima Repubblica" avrebbe potuto giocarsi delle buone carte, ma non lo fece e così si fece largo la classe politica peggiore di sempre. Lui volava più in alto, talmente in alto da risultare incredibile e incomprensibile, e chissà dov'è adesso...
Ciao Marco, mi mancherai.