giovedì 30 giugno 2016

Patria, 1978-2010 di Enrico Deaglio



Proprio mentre sto leggendo l’interessantissimo “Patria, 1978-2010” di Enrico Deaglio, mi capita di notare sul Corriere della sera di qualche giorno fa la notizia che il boss  Raffaele Cutolo ha nuovamente ripetuto la storia, raccontata già oltre vent’anni fa, che la Nuova camorra organizzata avrebbe potuto liberare Aldo Moro durante i 55 giorni del suo sequestro, e che qualcuno di molto in alto nella Democrazia Cristiana bloccò l’operazione. Ne ha parlato anche con alcuni membri della nuova commissione d’inchiesta parlamentare che dopo 38 anni ancora indaga su questa pagina controversa della storia del nostro Paese.
 
Ricordo molto bene i giorni del 1978 in cui si svolse il “caso Moro”. 
Frequentavo la V Ginnasio e quel 16 marzo avevamo “tema in classe”. Ricordo che scelsi la traccia di attualità ed ebbi modo di parlare del povero Renato Curi, lo sfortunato calciatore del Perugia che fu stroncato da un infarto durante la partita casalinga con la Juventus. A quell’epoca, l’unica sezione del giornale che leggevo da cima a fondo, incluse formazioni, calendari e classifiche, era la pagina sportiva. Al massimo, davo un’occhiata distratta alla pagina del cinema, indugiando qualche secondo in più se ero abbastanza fortunato da trovare la locandina dell’ultimo film di Edwige Fenech.

Eravamo a metà del compito quando la nostra prof, rientrando sconvolta dalla pausa caffè, disse: ”Hanno ammazzato Moro!” Le prime, concitate notizie trasmesse per radio erano molto confuse e dunque in un primo tempo sembrava che nel massacro della scorta fosse compreso anche il presidente della DC. Io sapevo a malapena chi fosse Moro, ma da quel momento iniziai a seguire i telegiornali, ad avventurarmi nelle pagine politiche dei quotidiani e persino a leggere periodici come Panorama e L’Espresso. Seguii il dibattito sulla linea della fermezza e iniziai a prendere in simpatia coloro che provarono in ogni caso a salvargli la vita, in particolare il partito socialista di Bettino Craxi e i radicali di Marco Pannella.

Ricordo anche il 9 maggio. Fu di pomeriggio, stavamo giocando a calcio, quando un amico ci raggiunse portandoci la notizia: hanno trovato il cadavere in una macchina. Istintivamente pensai: “Ora le BR sono finite, hanno chiuso”. Già perché quello era un periodo in cui lo slogan “né con lo Stato, né con le BR” era discretamente popolare. Ma di fronte a un esito così ottusamente crudele, chi mai poteva avere ancora dubbi? Le BR avevano già ucciso in passato e uccisero ancora n via Fani, ma la sensazione fu che con il greve e scontato epilogo di quei 55 giorni, il terrorismo rosso si fosse tagliato per sempre i ponti con qualsiasi potenziale e improbabile seguito.

Fa un certo effetto veder raccolti nelle mille pagine del libro di Deaglio, a poca distanza l’uno dall’altro, tanti fatti che nella memoria  sono invece molto più distanziati, inevitabilmente più sfocati, alcuni anche dimenticati. Ed è impressionate vedere il continuo ricorrere, in tanti episodi apparentemente slegati tra loro, degli stessi personaggi: la mafia, la camorra, i terroristi, la P2, la banda della Magliana, i servizi segreti.

Eppure la storia d’Italia è stata anche altro. I ricordi personali sono molto diversi. La selezione dei fatti potrebbe anche essere diversa. Penso ad esempio ad una veduta aerea su un’isola. Si potrebbe zoomare sulla spiaggia, soffermarsi sui bambini che schiamazzano, sulla distesa di carne umana che sfrigola nell’olio, sulle barche dei pescatori cullate dalla risacca, oppure spostare l’attenzione sul borgo, i panni stesi, l’ombra che cerca di farsi largo tra il bagliore dei muri, la strada che si inerpica tra gli ulivi, un cane che attraversa solitario la piazza. Oppure si può andare più in là, verso il mare aperto, osservare le vele, la scia dei motoscafi o anche inabissarsi nelle acque scure, andar giù giù dove solo pochi ardimentosi si spingono per scoprire frammenti di un mondo “altro” eppure reale, fantastico e misterioso, popolato da inquietanti mostri marini, anfratti, aculei, vegetali repellenti, affascinanti macchie di colore, un mondo calmo, angosciante, immobile, regolato da leggi eterne che traggono forza dalla propria immutabilità. Un mondo che dai più viene conosciuto solo in modo frammentario, distratto, discontinuo, grazie a qualche fotografia, spezzoni di documentario, racconti, fantasie.

Deaglio sceglie quest’ultima prospettiva, giornalistica. Seleziona una concatenazione di avvenimenti che ogni anno ha conquistato spazio sui giornali e ci mostra come i fatti si siano continuamente incrociati e scambiati protagonisti, comprimari e spettatori. Ci suggerisce che mentre noi studiavamo, lavoravamo, giocavamo, ballavamo, facevamo l’amore, crescevamo i nostri figli, andavamo al cinema o in vacanza, questi fatti intrecciati hanno costituito un’unica fitta trama che ha caratterizzato la storia della nostra Patria, ha influito sul nostro destino e ancor più avrebbe potuto farlo se periodicamente non ci fosse stata l’azione di disturbo di qualche temerario e solitario incursore, in genere conclusa tragicamente.

Tante altre cose sono successe. Imprese hanno prosperato e altre hanno chiuso. Si sono alternati periodi di crisi economica e periodi di ripresa. Ci sono state scoperte scientifiche, cambiamenti di costume, successi e insuccessi sportivi, fenomeni mediatici. Si potrebbero quindi raccontare tante storie, tanti “film di carta” (come Deaglio definisce la sua opera), ognuno diverso dall’altro.

L’unica cosa che difficilmente mancherebbe da qualsiasi racconto è il ricordo dei momenti topici della nostra Nazionale di calcio. Nel racconto di mille Italie diverse, questo sarebbe quasi sicuramente il più frequente tratto unificante.
 La versione di Deaglio un po’ mi inquieta (il mio personale album dei ricordi non è così cupo) ma ugualmente mi intriga. Fa una certa impressione scorrere il campionario di mostri che si agitavano sul fondale marino appena qualche miglio più in là, mentre sonnecchiavamo inconsapevoli sul bagnasciuga

mercoledì 15 giugno 2016

Primo Levi, La chiave a stella

"Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l'amare il proprio lavoro (che purtroppo è un privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono."
Primo Levi, La chiave a stella, 1978